[Opinione] Il futuro dell’industria digitale, ma anche umana

Anche se sembra un qualcosa che ha a che fare con la tecnologia, in realtà la trasformazione digitale riguarda le persone e i cambiamenti che essa induce a livello di relazione. Scopriamo con William Mejia, direttore generale di METRON Colombia, come non farsi trovare impreparati nei confronti della quarta rivoluzione industriale. 

La transizione digitale è imminente e necessaria

 

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  La quarta rivoluzione industriale è una nuova era che consiste nella fusione del piano fisico con quello digitale. La scommessa di migliorare l’automazione, la connettività e la globalizzazione dei dati all’interno delle fabbriche favorisce la presentazione di informazioni importanti in un formato comprensibile e in tempo reale, per tutti gli utenti.

In altri termini, la quarta rivoluzione industriale altro non è che un’evoluzione dell’azienda stessa, e non un cambiamento radicale. È un avanzamento che si realizza unendo le competenze umane e le buone prassi produttive alle nuove tecnologie al fine di decarbonizzare i territori e ottenere un vantaggio competitivo basato su efficienza e innovazione. È la possibilità di conoscere le proprie peculiarità produttive e di misurarsi a fronte dei risultati ottenuti, e non di uno standard generale che non tiene conto del ventaglio di variabili e di situazioni tipiche del proprio stabilimento, del proprio territorio, della propria organizzazione.

La trasformazione digitale dell’industria non è più un’opzione per ottenere un vantaggio competitivo, ma un obbligo. Il grado di competitività di un’azienda è direttamente correlato alla sua capacità di gestire i processi e aumentare la produttività. Secondo la società di consulenza McKinsey la durata media delle aziende è passata da più di sessant’anni a meno di venti. Per via della concorrenza sempre più agguerrita, la sopravvivenza delle aziende sul mercato diventa più difficile. Le aziende che vogliono sopravvivere nel loro settore devono porre la digitalizzazione al centro dei loro processi.

La digitalizzazione non è qualcosa che arriva di punto in bianco, né che interessa solo un settore dell’azienda. La complessità e le sfide che la contraddistinguono, così come i vantaggi che ne derivano, si ripercuotono su tutti coloro che fanno parte di un'organizzazione. Pertanto, non può prescindere da un cambiamento culturale globale a livello aziendale, il che non costituisce un ostacolo ma un aspetto necessario per facilitare la transizione.

 

Non è solo questione di tecnologia

"La cultura è il primo motivo di fallimento della trasformazione digitale" - Charlene Li, Open Leadership: How Social Technology Can Transform the Way You Lead

La digitalizzazione e la transizione energetica non sono solo una questione di tecnologia, dal momento che è chiaro che procedono più velocemente della nostra capacità di recepirle e adattarci ad esse. Se si vogliono costruire nuovi schemi si è costretti a rinunciare alle situazioni di comodo, a mettere in discussione la propria mentalità e le proprie abitudini. Le organizzazioni che vogliono restare al passo coi tempi e mantenersi competitive devono muoversi alla stessa velocità dei loro clienti e delle tendenze del mercato.

Per non farsi trovare impreparati è consigliabile iniziare modificando specifici elementi della cultura organizzativa (ad esempio, modificando alcuni processi di routine), rendendo più facile per il personale lavorare in modo diverso e promuovendo l'uso di strumenti collaborativi. Nei prossimi anni molte delle competenze del passato perderanno valore, il che costringerà a concentrarsi sulla riqualificazione e sulla formazione di tutti i componenti dell'organizzazione.

Secondo il World Economic Forum (WEF), entro il 2025 si perderanno 85 milioni di posti di lavoro, ma al tempo stesso ne verranno creati 97 milioni. Logicamente, la sostituzione dei posti di lavoro non avverrà in parallelo, motivo per cui diventa essenziale allineare la gestione delle competenze alla strategia della trasformazione digitale delle aziende in un’ottica integrale, con un’enfasi particolare alla stimolazione di nuovi apprendimenti da parte dei dipendenti esistenti e all’attrazione e allo sviluppo di nuovi talenti. 

Dallo studio The Future of Jobs (il futuro dell’occupazione) emerge che nel giro di cinque anni il 35% delle competenze professionali oggi considerate importanti andrà incontro a dei cambiamenti. Nel 2021 le tre principali qualità che il personale dovrà avere saranno: la capacità di risolvere problemi complessi, il pensiero critico e la creatività. Le ultime due riguardano i ruoli che secondo il FEM saranno quelli più richiesti in futuro: analista di dati ed esperto in intelligenza artificiale e apprendimento automatico.

Di conseguenza, per affrontare l'inevitabile transizione digitale, accelerata anche dall’epidemia di Covid-19, sia le aziende, sia gli stessi lavoratori dovranno impegnarsi più a fondo per quanto riguarda la formazione professionale. Le aziende intervistate dal FEM hanno detto che il 40% dei dipendenti dovrà seguire corsi di formazione estensivi. 

A sostegno di questa transizione, l'industria può contare sul proliferare di nuove soluzioni digitali in grado di comprendere e assimilare i nuovi assi portanti dell’organizzazione: cultura, maturità digitale, prestazione energetica e capacità tecnologica, al fine di realizzare una fabbrica più produttiva, con meno consumi energetici e sostenibile.